Lo scarso desiderio sessuale femminile è davvero una malattia?

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Dr. Giuliana Proietti
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 I concetti di salute e malattia sono centrali non solo in medicina, ma anche in psicologia, ricerca e sanità pubblica. Definire se una condizione sia o meno “malattia” stabilisce quali situazioni debbano diventare oggetto di intervento medico e quali, invece, restino fuori dal campo della medicina.

Un esempio discusso è il “Female Sexual Interest/Arousal Disorder” (FSD), inserito nel DSM-5. La domanda che solleva è cruciale: la riduzione del desiderio sessuale femminile va considerata un disturbo medico o piuttosto un fenomeno che dipende da fattori relazionali, sociali o culturali?

Cerchiamo di saperne di più.

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Che cos’è il Female Sexual Interest/Arousal Disorder (FSD)?

Secondo il DSM-5 (APA, 2013), il FSD si manifesta come una riduzione significativa dell’interesse o della risposta sessuale. Può includere meno desiderio verso l’attività sessuale, assenza di fantasie, difficoltà ad avviare rapporti, calo della soddisfazione o della sensibilità. Per fare diagnosi, i sintomi devono durare almeno sei mesi, riguardare almeno tre aree e causare un disagio clinicamente rilevante.

Perché la definizione di FSD è controversa?

Perché tocca il confine tra biologia e contesto. Da un lato, si può interpretare come disfunzione organica, dall’altro come variazione normale della sessualità influenzata da fattori culturali, sociali o relazionali.

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Quali sono le principali posizioni sul tema?

La “mainstream view” considera il FSD una malattia vera e propria, spesso legata a basi biologiche (ormoni, neurotrasmettitori) e quindi trattabile anche con farmaci.
La “critical view” sostiene invece che lo scarso desiderio sia una costruzione sociale o relazionale, e che medicalizzarlo rischi di trasformare in “malattia” esperienze che non lo sono.

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Il genere influisce sulle valutazioni?

Sì. La storia mostra un doppio standard: le donne con forte desiderio sessuale sono state spesso stigmatizzate come “ninfomani”, mentre negli uomini un alto desiderio era visto come segno di virilità. Questo modello continua, in parte, a influenzare come la società e la medicina valutano la sessualità.

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Come viene considerato l’eccesso di desiderio sessuale?

Le classificazioni diagnostiche hanno cambiato approccio. L’ICD-10 includeva la categoria “eccessivo desiderio sessuale”, mentre l’ICD-11 l’ha sostituita con il “disturbo da comportamento sessuale compulsivo”, collocato tra i disturbi del controllo degli impulsi (Reed et al., 2019). Questo spostamento mostra che oggi non si vede l’eccesso di desiderio come malattia in sé, ma come problema solo quando è associato a perdita di controllo e sofferenza.

Che ruolo hanno gli aspetti relazionali?

Il DSM-5 specifica che in alcune situazioni, ad esempio nelle relazioni abusive, non si dovrebbe diagnosticare un disturbo da basso desiderio. In questi casi, infatti, la riduzione della sessualità è una reazione al contesto, e il problema principale non è medico ma relazionale.

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Quando una condizione diventa un disturbo?

Il criterio più importante è la “sofferenza soggettiva”. Secondo diverse teorie filosofiche, una condizione diventa “malattia” solo se provoca disagio o danno significativo (Cooper, 2002; Horwitz & Wakefield, 2007). Ma qui si apre una domanda: il disagio nasce davvero dal calo fisiologico del desiderio o dal peso delle aspettative sociali e di coppia?

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I test

Qual è il fattore più determinante nelle valutazioni sullo scarso desiderio sessuale?

Gli studi mostrano che la “percezione di disfunzione” è decisiva: quando si ritiene che il basso desiderio comprometta la vita, la condizione viene più facilmente vista come un disturbo. Se invece non viene percepita una disfunzione, la valutazione è più “benigna” e non si pensa subito a una cura medica.

Da cosa nasce la percezione di disfunzione?

Non solo da dati biologici, ma anche da valori e norme culturali. Una stessa esperienza può essere vissuta come problematica in un contesto sociale e come del tutto normale in un altro.

L’origine dello scarso desiderio influisce sui giudizi?

In parte. Se viene spiegato come genetico, le persone tendono a considerarlo più un disturbo e a pensare a cure mediche. Se invece viene collegato a fattori relazionali o sociali, la medicalizzazione sembra meno appropriata. Tuttavia, la distinzione non è netta, perché fattori sociali possono comunque avere esiti biologici e viceversa.

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Desiderio basso o desiderio alto: vengono visti allo stesso modo?

Non proprio. Entrambe le condizioni possono essere considerate varianti della sessualità, ma quando si parla di trattamenti, la disponibilità a intervenire è maggiore nei casi di desiderio basso. L’idea di ridurre un desiderio elevato appare più rischiosa o invasiva, mentre aumentare quello basso sembra più accettabile.

Quanto conta la valutazione personale della persona coinvolta?

Moltissimo. Se una persona non vive il proprio basso desiderio come un problema, viene vista come più sana e meno bisognosa di cure. Al contrario, se prova sofferenza, cresce la tendenza a definirlo un disturbo e a pensare a interventi medici. La prospettiva individuale risulta quindi più influente di quella sociale.

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Cosa si può concludere?

Si può concludere che il modo in cui si percepisce lo scorso desiderio sessuale femminile mostra che i confini tra salute e malattia non sono solo biologici, ma intrecciano vissuti soggettivi e influenze sociali. Questo dibattito non riguarda solo la sessualità, ma ci invita a riflettere sul significato stesso di salute e sul ruolo della medicina: curare malattie o promuovere benessere?

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I test

Fonte principale:

Varga, S., Latham, A. J., & Stegenga, J. (2025). Health, Disease, and the Medicalization of Low Sexual Desire: A Vignette-Based Experimental Study. Ergo, 6. https://philarchive.org/rec/VARHDA-3

Immagine

Foto di Hannah Nelson:

Di Giuliana Proietti

Giuliana Proietti è psicoterapeuta e sessuologa clinica. Riceve i pazienti online, da qualsiasi parte del mondo. Sono possibili anche incontri in presenza, a Fabriano Civitanova Marche Ancona e Terni. Costo della Terapia Online: 60 euro/seduta In presenza 90 euro/seduta. Telefonare o inviare un messaggio whatsapp per chiedere appuntamento al 347 0375949, oppure scrivere a info@giulianaproietti.it Visita i siti www.psicolinea.it www.clinicadellatimidezza.it www.clinicadellacoppia.it per avere ulteriori informazioni.