Storia culturale e psicologica del topless

Storia culturale e psicologica del topless

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Dr. Giuliana Proietti
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Per alcuni è stato un gesto di liberazione, per altri un atto trasgressivo, per altri ancora un’abitudine da spiaggia ormai superata. Il topless, inteso come l’esposizione del seno femminile in contesti pubblici (soprattutto marini), ha attraversato le decadi con significati profondamente diversi, specchio dei mutamenti culturali, politici e psicologici delle società occidentali. Un fenomeno apparentemente banale che, in realtà, racconta molto del rapporto tra corpo, desiderio, genere e controllo sociale. Cerchiamo di saperne di più.

Il creatore del topless

Il modello originale del topless, quello che vediamo illustrato, nacque però molto prima, nel 1964, per opera di Rudi Gernreich (scritto anche Rudy Gernreich), un creatore di moda austriaco-americano, che chiamò questo costume monokini.

Come si vede, il monokini era in fondo un castigatissimo costume intero, cui mancava la parte superiore, che veniva sostituita da due bretelline che lasciavano scoperto il seno. Probabilmente il creativo si era ispirato ai costumi di scena delle ballerine delle Folies Bergères, che già negli anni Venti ballavano con costumi simili.

Gernreich vendette, nella prima stagione estiva, 3000 costumi da bagno, a 24 dollari a pezzo.  La novità del design aveva catturato l’attenzione di molte persone, che lo avevano acquistato, anche se non lo avevano mai indossato.

Il nudo in spiaggia

Rapidamente ribattezzato “topless” (top-less, senza il sopra), il costume non veniva indossato negli Stati Uniti, anche perché esporre il seno nudo in spiaggia era (ed è) proibito. Diversa la situazione in Europa, e soprattutto in Francia, dove Brigitte Bardot lanciò la moda di prendere il sole senza il reggiseno del costume, in un Hotel di Saint Tropez.

Dall’altra parte dell’Oceano in quegli stessi anni, a New York, il New York City Police Department ordinava di arrestare qualsiasi donna che avesse osato indossare un monokini. Nei dintorni di Chicago, una modella diciannovenne si mostrò in monokini in spiaggia e ricevette una multa di 100 dollari. La stampa si occupò largamente di questo caso, che contribuì a far conoscere questo particolare costume in tutto il mondo.

In Italia e in Spagna, la Chiesa mise in guardia contro la moda del topless, che comunque anche sulle nostre coste non sfondò mai, perché, seguendo la moda di BB, si preferì semplicemente togliersi il reggiseno, anziché indossare questo costume da bagno con inutili bretelle.

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Il monokini aprì comunque, a suo modo, la strada alla rivoluzione sessuale, sottolineando la libertà personale della donna di potersi scegliere l’abbigliamento che desiderava, anche se era considerato provocante.

Il seno nudo come spazio di libertà

Il seno nudo spopolò poi al Festival di Woodstock nel 1969, che qui aveva il sapore di una rivendicazione femminista. Perché gli uomini potevano mostrarsi a petto nudo e le donne no? Il reggiseno divenne simbolo di discriminazione, tanto che negli Usa le femministe bruciarono in un grande rogo i loro reggiseni, davanti all’hotel in cui si svolgeva il concorso di Miss America.

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Il seno femminile – per secoli oggetto di pudore e di censura – veniva rivendicato come parte integrante dell’identità di una donna, non solo in chiave erotica, ma anche come spazio di libertà, autodeterminazione e affermazione politica.

Perfino in Italia si diffuse, sembra incredibile, la moda diffusa del topless, anche se le donne troppo nude, ma anche troppo anziane e non troppo belle, non erano affatto gradite.  Indimenticabile, la descrizione del sindaco di Pantelleria, che nel luglio del 1982 vietò il nudismo sulla sua isola per evitare quelle donne che “espongono al sole seni che sono stomachevoli escrescenze carnose, flaccide e bislunghe”.

Il gesto di “scoprire il seno” non è mai stato solo un atto estetico o meteorologico. Costituì una rottura simbolica: liberare il corpo dalle costrizioni significava, per estensione, liberare anche la mente e le relazioni da ruoli imposti. Sulle spiagge francesi, spagnole e italiane, il topless assunse presto la forma di una normalità estiva, ma rimase fortemente connotato da una tensione tra il desiderio maschile che lo oggettificava e la rivendicazione femminile che tentava di renderlo un atto politico.

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La nuova creazione: un flop

Nel 1985, il creatore del topless, Rudi Gernreich tentò di lanciare un nuovo costume da bagno, altrettanto trasgressivo, se non di più: esso infatti mostrava in bella vista i peli pubici e si chiamava pubikini. Non ebbe naturalmente successo e poco tempo dopo il fashion designer  morì.

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Ultimi anni: la parabola discendente del topless

Negli ultimi vent’anni abbiamo assistito  a un netto calo della pratica del topless in molti Paesi occidentali. Uno studio dell’Ifop (2019), ad esempio, ha mostrato come solo il 22% delle donne francesi faccia ancora topless in spiaggia, rispetto al 43% del 1984. Lo stesso vale per l’Italia, dove il topless, sebbene non vietato, è diventato raro e spesso oggetto di sguardi giudicanti o molesti.

Il topless non è scomparso, ma ha perso la carica rivoluzionaria che aveva assunto negli anni della sua esplosione. Oggi è più raro, più contestualizzato e meno caricato di significati collettivi. Questo cambiamento non va letto necessariamente come una sconfitta, ma come un segnale di evoluzione nelle forme di espressione del sé. Il corpo femminile non è più l’unico campo di battaglia su cui si gioca la libertà delle donne.

Psicologicamente, si potrebbe dire che siamo entrati in una fase più matura del rapporto con la nudità e con l’identità corporea. Il diritto a mostrarsi e quello a nascondersi coesistono, e nessuno dei due può essere imposto come norma. Il topless, in questa prospettiva, resta un simbolo potente, ma non più universale: è un’opzione, non un imperativo né una prova di coraggio.

In fondo, come per molte rivoluzioni culturali, anche quella del topless ha avuto bisogno di passare per l’estremo per poi trovare un equilibrio.

Giuliana Proietti

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Di Giuliana Proietti

Giuliana Proietti è psicoterapeuta e sessuologa clinica. Riceve i pazienti online, da qualsiasi parte del mondo. Sono possibili anche incontri in presenza, a Fabriano Civitanova Marche Ancona e Terni. Costo della Terapia Online: 60 euro/seduta In presenza 90 euro/seduta. Telefonare o inviare un messaggio whatsapp per chiedere appuntamento al 347 0375949, oppure scrivere a info@giulianaproietti.it Visita i siti www.psicolinea.it www.clinicadellatimidezza.it www.clinicadellacoppia.it per avere ulteriori informazioni.